L’unione fa la forza. Ottimizza i consumi. E protegge la natura.
La creazione di una comunità energetica fa risparmiare i suoi utenti perché consente benefici economici, ambientali e sociali: attraverso lo scambio locale dell’energia, innesca un circolo virtuoso. Il 2022 potrebbe essere l’anno della svolta: ne parliamo con Paolo Pizzolante, presidente di PlanGreen
Il proverbio L’unione fa la forza, che deriva dalla locuzione latina viribus unitis, indica che quando un gruppo di persone si unisce per un obiettivo comune, i risultati saranno migliori. Ha un significato elementare e trasparente che molti di noi imparano ad apprezzare in concreto, perché l’esperienza ci insegna che il risultato dell’unione di più singoli non segue una legge progressiva matematica, ma raggiunge un obiettivo che non era possibile ottenere dalla semplice somma degli addendi. Questa plusvalenza indica, in astratto, la forza di una comunità, il carburante necessario per uno scatto evolutivo e creare qualcosa di completamente diverso da ciò che potrebbero architettare le unità fra loro separate.
Le Comunità Energetiche
Le Comunità energetiche rappresentano al meglio questo concetto: sono i consumatori che si uniscono per utilizzare al meglio la produzione di energia nello stesso territorio, ottimizzarne l’autoconsumo e la condivisione. «È come una rivoluzione», spiega Paolo Pizzolante, Presidente e Amministratore delegato di PlanGreen, azienda di Riccione che si occupa di efficientamento energetico. In attività dal 2013, PlanGreen ha già realizzato circa 120 interventi di efficientamento energetico con contratti a performance che garantiscono al cliente risparmio, manutenzioni e servizi per 5/7/10 anni, in tutta Italia. Solo con i contratti attualmente in essere, PlanGreen, i suoi clienti e l’ambiente risparmieranno più di 2,7 milioni di Euro all’anno per almeno 10 anni.
«È una rivoluzione perché le comunità energetiche si basano sull’adesione aperta e volontaria, sono autonome, vivono nelle vicinanze degli impianti rinnovabili posseduti ed efficientano anche le situazioni di consumo sporadico come nel caso delle scuole, delle manifatture, dell’agricoltura e degli alberghi, la cui produzione da fotovoltaico finisce nella rete durante i giorni di inattività, quando invece potrebbe essere condivisa. Il fabbisogno viene localizzato e ottimizzato all’interno di una rete composta da case, scuole, negozi, palazzi comunali, aziende. In sostanza, le comunità energetiche cambiano il paradigma perché forniscono benefici economici, sociali ed ambientali a tutta la comunità che aderisce al progetto: nel caso della scuola, per esempio, l’autoconsumo diventa un vantaggio anche il sabato e la domenica, quando è chiusa. Piuttosto che essere ceduta in rete, l’energia viene consumata in condizioni di contemporaneità dalla comunità stessa, abbattendo lo spreco economico e realizzando un risparmio condiviso».
Una comunità energetica, in sostanza, consente di integrare tutti i consumatori, a prescindere dal loro reddito, abbassando il costo della bolletta, destinando eventualmente parte dei benefici ai soggetti più fragili e promuovendo azioni di efficientamento energetico che producono a loro volta risparmio economico. Sono nate in Italia nel 2019, almeno dal punto di vista normativo, con il decreto milleproroghe a cui sono seguiti i provvedimenti di adeguamento di ARERA (l’autorità per l’energia). Il vero quadro completo è arrivato però con il D.Lgs 199/2021, i cui imminenti decreti attuativi renderanno operativa sul territorio nazionale in Italia la direttiva RED II (che obbliga i Paesi dell’Unione ad introdurre l’autoconsumo collettivo nel loro ordinamento) sulle fonti rinnovabili e la loro diffusione e promozione.
Per realizzare questo genere di progetto serve un partner competente proprio come PlanGreen, perché alla base di questo modello di produzione energetica c’è un nuovo paradigma, un profondo cambio di mentalità che, almeno in Italia, potrebbe già mettere a fattor comune gli investimenti fatti negli ultimi dieci anni da quasi un milione di piccoli produttori di energia elettrica da fonte solare; impianti che utilizzano in autoconsumo un terzo dell’energia prodotta (due terzi per chi ha un sistema di storage) e che potrebbero da subito condividere i restanti due terzi nell’ambito di una comunità energetica. Questo sarebbe un vantaggio per l’intero sistema elettrico e, per estensione, a tutto il nostro Paese.
Oltre al vantaggio sistemico, i vantaggi che apporta la comunità energetica sono molti. Partiamo dal primo per motivi ragionevolmente prosaici: il risparmio. L’energia condivisa, in aggiunta a quella autoconsumata, rappresenta il modo migliore per utilizzare in loco l’energia prodotta da un impianto fotovoltaico, perché permette di evitare alcuni costi tipici del sistema elettrico, che di solito si riflettono in bolletta. Inoltre, si dà la possibilità di organizzare al meglio l’utilizzo della produzione facendo leva su più soggetti e non solo su se stessi. La comunità energetica, infatti, localizza il fabbisogno in una dimensione ben definita, una rete composta da case, edifici pubblici, piccole imprese, e in questo modo permette di ottimizzarlo. C’è poi il terzo vantaggio che si lega al tipo di energia prodotta, derivante da fonti energetiche rinnovabili. Si tratta, quindi di una energia pulita, sostenibile.
Ma non è una questione, come dicevamo, solo prosaica. La condivisione dell’energia e l’attenta gestione comunitaria poi ci conduce direttamente a un ambito ancora più ampio, radicale. Quello della sharing economy e dell’economia circolare, dove l’accesso a un servizio diventa prioritario rispetto al possesso di un bene. «La comunità energetica, in effetti», prosegue Pizzolante, «può aiutare a costruire uno sviluppo sostenibile anche da un punto di vista etico e sociale. All’interno di una comunità energetica, che riduce gli sprechi e ottimizza l’autoconsumo, da un lato l’energia diventa più accessibile e dall’altro possono scattare quei meccanismi solidali propri della comunità che permettono di mitigare le condizioni più difficili».
Vi sembra uno scenario ancora troppo futuristico? Sbagliate. Lo studio Le Energy Community in Italia: l’evoluzione del quadro normativo e le ricadute attese per il sistema-Paese, condotto nel 2020 dal gruppo di ricerca Energy & Strategy del Politecnico di Milano ha infatti stimato la creazione di circa 26mila unità tra comunità energetiche e AC.FER. (autoconsumatori di energia rinnovabile che agiscono collettivamente) entro il 2025. In queste saranno coinvolti circa 750mila nuclei familiari, 150mila uffici e 8mila PMI. Lo studio, d’altra parte, poneva come condizione per la realizzazione di questo scenario la spinta di incentivi statali. «Proprio per questo», continua Pizzolante, «l’autoconsumo collettivo è anche promosso da una tariffa incentivante, definita lo scorso settembre dal Ministero dello Sviluppo Economico, che per la prima volta promuove lo storage. Le regole tecniche per accedervi sono state poi fissate in un documento del Gestore dei servizi energetici».
Proprio la condivisione dello storage, in particolare, rappresenta un punto di svolta per aumentare ulteriormente la quota di energia condivisa al di fuori degli orari di produzione, come spiegava poco fa l’Ad di PlanGreen. L’uso dell’energia in una comunità energetica è incentivato, per cui il ritiro dell’energia apporta alla stessa interessanti vantaggi economici. Infatti viene definito un incentivo di 110€/MWh per 20 anni sull’energia condivisa all’interno della comunità, 9€/MWh sull’energia condivisa che apporta benefici alla rete, 60€/MWh sull’energia rinnovabile immessa in rete per un totale forfettario di 179€/MWh per 20 anni. Tali incentivi rendono gli impianti realizzati da una comunità energetica ammortizzabili in alcuni anni.
Bene, ma a fronte di vantaggi innegabili, si apre una questione paradossale: come si fa a convincere la proverbiale casalinga di Voghera? Creare una comunità energetica, infatti, impone passaggi formali come l’individuazione dell’area degli impianti e degli utenti, la costituzione del soggetto giuridico, l’acquisizione della disponibilità degli impianti, il calcolo di detrazioni e incentivi. «Proprio per questo motivo, noi come PlanGreen crediamo fortemente nella trazione pubblica», prosegue Pizzolante, «perché gli edifici pubblici rappresentano un patrocinio per la cittadinanza e il loro coinvolgimento si inserisce in un percorso di serietà e qualità del servizio, due elementi nel Dna della nostra storia societaria.
E non a caso, questa idea della comunità energetica a trazione pubblica ci è venuta proprio perché erano i nostri clienti a chiederla. Al nostro cliente, pertanto, diciamo: gestiamo tutto noi. Ci occupiamo dell’analisi dei consumi, individuiamo gli interventi tesi all’efficientamento, investiamo in proprio, gestiamo il processo operativo e le manutenzioni, garantendo il risparmio generato. Per esempio, nelle nostre simulazioni di un impianto da 200 kw l’autoconsumo è gratis per chi ospita l’impianto. I restanti, per una spesa media di 750 euro all’anno, si vedono rientrare il 15/30% solo perché fanno parte della comunità energetica. E il risparmio è garantito nel senso che se non c’è non veniamo pagati: la performance deve essere certa. PlanGreen effettua interamente l’investimento e viene remunerata condividendo con il cliente il valore del risparmio generato. In questo modo il cliente trae immediati benefici economici, ambientali e di gestione, senza nessun costo».
In Europa, le energy community sono una realtà radicata e diffusa. Germania, Danimarca, Paesi Bassi e UK sono i Paesi europei che presentano i numeri più importanti. In Germania oggi si contano oltre 1.700 realtà, mentre in Danimarca e Paesi Bassi si parla di oltre 500 CER attive. L’Italia, grazie anche a imprese come PlanGreen, è ben posizionata, ma serve il semaforo verde del ministero: «Tutte le comunità sono pronte a partire e siamo in attesa di cominciare. Non vediamo l’ora, perché per noi è diventata una questione etica: contribuire allo sviluppo della società tutelando l’ambiente».